UNA STORIA SBAGLIATA DAL PASSATO
- Daniele Pompignoli
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Il mondo del calcio dilettantistico e in particolare quello del calcio femminile è un contesto nel quale trovare storie sbagliate che fanno riflettere lasciando l'amaro in bocca ancora oggi è molto facile. Una di queste arriva da una delle epoche di maggior splendore del movimento calcistico femminile italiano: il 1986.
In questo periodo, stando alle cifre che riportavano La Gazzetta dello Sport e Stadio, le donne che in Italia correvano dietro ad un pallone ed erano tesserate per la Federazione erano circa 104.000. Numeri da capogiro se raffrontati con le "appena" 22.546 tesserate risultanti dall'ultimo report pubblicato dalla Uefa e relativo proprio alla stagione 2015/2016.
Eppure anche in un anno apparentemente d'oro per le donne del pallone italiane, l'estate che portava alla stagione 1987/1988 contribuì a far balzare agli onori delle cronache una di queste tante - troppe - storie sbagliate. In mezzo al caldo afoso della bassa padovana, infatti, i dirigenti del San Michele si trovarono costretti a dire alle proprie giocatrici che quello appena concluso sarebbe stato il loro ultimo campionato, almeno con la formazione gialloverde di San Michele delle Badesse, piccola frazione del comune di Borgoricco.
La Polisportiva San Michele era nata nel 1981 ed in appena sei anni era riuscita a far arrivare la propria squadra femminile fino in Serie B. Sembrava una bellissima realtà, anche perché a convivere e condividere gli stessi spazi assieme alle ragazze c'era anche la squadra maschile che, anche se con persone diverse al comando, faceva comunque capo alla stessa società.
Nella loro primissima avventura in cadetteria, le ragazze padovane riuscirono a conquistare l'ottavo posto affrontando squadre ben più blasonate come ad esempio Milan, Padova e Biella. All'interno del panorama calcistico femminile del Veneto, il San Michele diventò presto seconda solo al Verona: un successo importante, destinato però a sciogliersi come neve al sole.
Le coltellate roventi arrivarono dritte al cuore e furono scagliate dal parroco durante una messa nella quale senza troppi giri di parole aveva tuonato che "il calcio non è uno sport adatto alle ragazze". Non ci volle molto perché una stampa forse più attenta di quella di oggi ne venisse a conoscenza. Incalzato dai cronisti, il religioso corresse il tiro dichiarando di aver "solo detto che le ragazze del paese giocano al calcio perché non hanno altro da fare". Di fatto peggiorò soltanto la situazione e San Michele delle Badesse e la storia delle sue ragazze in scarpini finì dalle paginette di cronaca locale a quelle nazionali.
Cosa disse davvero il parroco non lo sapremo mai, ma sappiamo cosa mise nero su bianco pochi mesi dopo in merito all'utilizzo del campo parrocchiale, sul quale la Polisportiva San Michele giocava e condivideva senza problemi assieme ai "colleghi" maschi. Fu grazie alla burocrazia che riuscì a schiantare il sogno delle ragazze del San Michele e dei suoi dirigenti, consentendo l'utilizzo dell'impianto solo a squadre che non avessero più del venti per cento delle atlete provenienti da altre città.
Una regola studiata appositamente secondo i dirigenti del sodalizio femminile. Studiata perché in un paesino di millecinquecento abitanti era difficile trovare l'ottanta per cento di ragazze per riuscire ad affrontare un campionato impegnativo come la Serie B. "È una regola fatta apposta per non farci giocare", disse il presidente ai giornalisti che lo intervistavano.
Tra le cose che non sapremo mai c'è anche l'eventuale intenzione del regolamento scritto dal Don di fermare il sogno delle ragazze del San Michele. Quello che conosciamo sono però i suoi tristi effetti, perché di quelle diciotto calciatrici ben quattordici dissero per sempre addio al calcio. Quelle stesse ragazze che solo qualche mese prima avevano donato cinquecentomila lire alla parrocchia a titolo di beneficenza, ma se le videro recapitare indietro con la motivazione che "puzzavano di bustarella".
Daniele Pompignoli
Twitter: @dpompignoli