Non solo il vincolo sportivo: gli altri ostacoli al calcio femminile
- Silvio Bogliari
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Nei giorni in cui il vincolo sportivo sembra ormai giunto alla sua sacrosanta abolizione, occorre suscitare una riflessione: il vincolo sportivo non è l’unica norma che limita e discrimina il calcio dilettantistico e di conseguenza, il calcio femminile.
La famosa sentenza Bosman non ha introdotto solamente la possibilità per i giocatori di “accasarsi” in un altro club nei sei mesi precedenti alla scadenza del contratto ma è stata fondamentale anche per la fine delle clausole di nazionalità, ovvero quelle norme federative nazionali che stabilivano un limite al tesseramento di giocatori comunitari e quindi lesive della libertà di circolazione riconosciuta dall’Unione Europea. Bisogna però ricordare che i cambiamenti introdotti dalla sentenza Bosman si dirigevano prevalentemente al calcio professionistico.
Alla stregua della sentenza Bosman, nel 2010 la sentenza Olivier Bernard introdusse delle fondamentali novità, questa volta però applicabili anche al calcio dilettantistico: Olivier Bernard era un giocatore delle giovanili dell’Olympique Lyonnais appartenente alla categorie espoire. I giovani giocatori francesi appartenenti alla citata categoria, erano tesserati con un contratto da calciatore in formazione e quindi non ancora professionisti: secondo le norme federative francesi i giocatori erano obbligati a firmare il contratto da professionisti con la squadra che li aveva formati, in caso contrario, i calciatori non potevano stipulare un contratto da professionisti con nessun’altra società francese per un periodo di tre anni con la possibilità, in più, di essere condannati a risarcire il club di origine.
Nel caso Bernard, nell’agosto del 2000 il giocatore decise di non prolungare la sua esperienza nelle fila dell’Olympique Lyonnais, e scelse, invece, di accettare l’offerta del Newcastle e diventare un giocatore professionista in Inghilterra. Di conseguenza, la squadra francese presentò ricorso alla Corte di Cassazione francese e denunciò il giocatore e il Newcastle chiedendo un risarcimento di 53.000 € per le spese sostenute per la sua formazione calcistica. In prima istanza il calciatore fu condannato al pagamento di 22.000 €, ma decise di presentare ricorso in Corte d’Appello che considerò le norme federative contrarie alla legge francese e al diritto comunitario. A questo punto, il Lione si presentò innanzi alla Corte di Cassazione francese che riconobbe che, sebbene non esista un vero e proprio divieto per i giocatori in formazione di sottoscrivere un contratto con una squadra diversa da quella che li aveva formati, esisteva però una evidente dissuasione nel farlo. Data la difficoltà nel risolvere la questione, la Corte di Cassazione decise di rimettere la controversia alla Corte Europea, chiedendo se le norme federali francesi violassero la libera circolazione delle persone e dei lavoratori riconosciuta come libertà fondamentale dall’Unione Europea.
Nel risolvere la controversia a favore del calciatore francese, la Corte Europea stabilì che: “Disposizioni nazionali che ostacolino o dissuadano un lavoratore, cittadino di uno Stato membro, dall’abbandonare il suo Stato di origine per esercitare il suo diritto alla libera circolazione costituiscono, di conseguenza, ostacoli a questa libertà anche qualora esse si applichino indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati”.
In quanto alle norme italiane, ancora oggi possiamo trovare una norma paragonabile a quella francese del caso Bernard, anche se, almeno non espone al rischio di risarcimento le giocatrici. Conforme con quanto stabilito nella sentenza Bernard, l’art. 40 quater delle NOIF dissuade le giocatrici dal trasferirsi all’estero, poiché recita: “I calciatori/calciatrici “non professionisti”, trasferiti all’estero senza l’assenso della società, e residenti in Italia, possono ritrasferirsi in Italia dalla stagione sportiva successiva a quella del trasferimento all’estero e soltanto presso la società italiana per la quale erano stati tesserati prima del trasferimento all’estero. Per le calciatrici della Divisione Calcio Femminile detto obbligo sussiste nella ipotesi in cui si siano trasferite all’estero senza il consenso della società originaria”.
Non solo l’articolo 40 quater è un evidente ostacolo alla possibilità di trasferirsi all’estero come giocatori non professionisti, ma è anche un limite per le giocatrici di richiedere lo svincolo per accordo con la società, visto che non si potrebbe considerare altrimenti “senza l’assenso” della società. Inoltre, una giocatrice non professionista non potrebbe “scappare” all’estero per firmare un contratto da professionista e poi tornare in Italia e giocare nella società che reputi più opportuna per la sua carriera, poiché ai sensi del citato articolo, dovrebbe tornare nella società italiana precedente al trasferimento all’estero.
Nel calcio maschile professionistico una norma di tale portata avrebbe determinato il blocco del calciomercato: tutti i giocatori che hanno pagato la clausola di rescissione e si sono trasferiti all’estero, esercitando quindi il loro diritto di recesso dal contratto, (senza l’assenso della società quindi) sarebbero dovuti tornare obbligatoriamente nel vecchio club italiano, con il quale, magari, i rapporti non sono idilliaci.
Sebbene esistano giocatori professionisti e giocatori dilettanti, non esistono persone professioniste e persone dilettanti: le norme fondamentali comunitarie, come la libertà di circolazione e il diritto di associazione, dovrebbero applicarsi a tutti i cittadini in quanto tali e prevalere sulle norme federative nazionali.
Silvio Bogliari