GIULIA FERRANDI, UNA PROMESSA ITALIANA IN INGHILTERRA
- Daniele Pompignoli
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Tutto è nato a cinque anni, con un pallone calciato via quasi senza motivo e l'essere caricata da un amichetto sulle spalle e portata in trionfo ad esultare. È bastato il soffio di vento sul viso di quella corsa a Giulia Ferrandi - bergamasca classe 1992 - per far scoccare quella scintilla che il calcio spesso riesce a far esplodere dentro al cuore, spegnendo la fiammella del karate. Da quel momento la carriera di Giulia con la palla tra i piedi si è proiettata sullo schermo velocemente, come solo i grandi registi riescono a fare con le loro pellicole, talmente dense che se ti distrai anche solo un attimo per trovare i pop corn di fianco a te rischi di perderti un istante chiave del film.
Di momenti importanti, infatti, l'ancora breve carriera di Giulia ne è già piena. Prima Atalanta e poi la tappa di Brescia. Con le "gnare" arriva la Coppa Italia 2011/2012, tanti gol e gioie, ma anche il dolore e le lacrime per un ginocchio che fa crack e ti fa pensare che sia tutto finito. Ti fa credere che quella felicità con cui il calcio accompagnava la tua vita sia diventata improvvisamente insostenibile per le tue gambe. "Il calcio era tutto per me - racconta Giulia -, solo che quando arrivano infortuni del genere a vent'anni tutte le tue certezze vacillano. Ho pensato che avrei fatto meglio a concentrarmi nell'ambito lavorativo. Non avevo paura - precisa -, ma sentivo che dovevo trovare una mia direzione, anche diversa dal calcio a undici".
I dubbi di Giulia però durano appena un battito di ciglia, poi quella passione accompagnata dall'immancabile pizzico di sana follia ha la meglio su pensieri e paure. Indossa di nuovo gli scarpini, ma quelli senza tacchetti. Mette sotto pressione il suo ginocchio addirittura nel calcio a cinque e gli fa capire che è lei a comandare. Arriva una bella avventura con la Lupe, un allenatore che ancora oggi ringrazia e la maglia azzurra a incorniciare quei suoi occhi pieni di sogni. "Ho fatto molti sacrifici, ma ho trovato un mister come Mario Lovo che ha creduto in me, mi ha fatto migliorare fino ad arrivare in nazionale. L'intensità e la tecnica del calcio a cinque poi mi hanno aiutato a crescere come calciatrice".
È grazie a quest'avventura che Giulia torna a fare scintille: ha appena vinto una sfida e già ha bisogno di costruirsi la prossima. Terminato il campionato fa quello che chiunque in ben altre situazioni farebbe: invia curriculum. Passa poco tempo e sul display del suo cellulare appaiono dei numeri con un prefisso diverso dal solito: tutti iniziano con 0044, perché i curriculum di Giulia finiscono nella patria di Sua Maestà. C'è il West Ham United che vuole vederla col pallone tra i piedi e nel paese dove il 'football' vide la luce tantissimi anni fa, una possibilità non si nega a nessuno, specialmente a chi dimostra di avere carattere, voglia di fare e coraggio.
La 'nuova vita' all'insegna della 'Union Jack' di Giulia è una sfida nella sfida dentro ad un mondo sconosciuto, ma lei la vince già a metà strada, perché dal traballante West Ham United (dove divideva lo spogliatoio con le altre due italiane Erika Campesi e Romina Pinna, nda) arriva la chiamata del Brighton & Hove Albion. È una crescita notevole, perché i “seagulls” (gabbiani in inglese) volano nell’alta quota del primo posto della Southern Division in Women’s Premier League, ad un passo dalla seconda divisione della Super League, anticamera della prima divisione. Nel calcio femminile inglese arrivare al vertice della “WSL” significa semiprofessionismo e l’equazione “calcio uguale lavoro”; allenarsi duramente tutti i giorni in un campionato con squadre del calibro di Arsenal, Chelsea, Liverpool e Manchester City solo per citarne alcune.
L'Inghilterra poi le ha cambiato la vita sotto ogni aspetto, nel cuore ancor prima che nei piedi. "Quando sono arrivata ero single ed ora sono fidanzata" racconta con un filo di timidezza. "Ho trovato lavoro in un ristorante che mi permette di seguire gli allenamenti alla sera. Sono molto orgogliosa di quello che sono riuscita a fare - prosegue -, ma so anche che Brighton per me è un nuovo punto di partenza e devo lavorare tantissimo. Non è facile, ma io non ho mai amato le cose semplici; volevo qualcosa di nuovo ed anche se so che è una strada molto difficile ci sto provando". Difficile come lo sono i ritmi che ti vengono imposti da una metropoli sempre in movimento come Londra, dove Giulia vive. "Passo buona parte della giornata in treno e metro per spostarmi fin da quando mi sveglio alle sei di mattina a quando rientro a casa, generalmente non prima di mezzanotte. È dura, ma finché reggo vado avanti".
Uno dei tanti validi motivi per reggere è l'esperienza in un calcio molto diverso rispetto a quello vissuto da Giulia in Italia. "Consiglierei un'esperienza del genere a chiunque, perché impari a stare al mondo e ti permette di crescere anche dal punto di vista sportivo. Il calcio in Inghilterra è qualcosa di spaziale dal punto di vista fisico, servono le spalle larghe e non avere paura di niente, ma non è nemmeno un mondo chiuso per gli stranieri. Le mie compagne mi hanno fatto sentire a casa sia al West Ham sia al Brighton. Poi ovviamente serve anche la qualità: nella mia squadra, ad esempio, è molto raro vedere più di due lanci a partita".
L’estetica calcistica però è solo una delle differenze, forse nemmeno la più netta, perché il calcio femminile in Inghilterra è qualcosa di radicalmente diverso da quello che conosciamo in Italia attualmente. "Noi ci alleniamo nello stesso centro della squadra maschile che gioca nella Serie B inglese (i 'colleghi' di Giulia hanno la Premier League nel mirino: sono al terzo posto, dentro ai play-off e ad un punto dal Middlesbrough e a tre dalla capolista Hull City, nda), abbiamo tutte le loro attrezzature come piscina, palestra e campo d'allenamento.
Credo sia una differenza sostanziale e l'Italia ha molto da imparare in questo senso".
Italia, appunto, perché Giulia comunque sia continua ad essere legata alle sue radici ed uno dei suoi sogni nel cassetto è proprio tinto d'azzurro. "Mi piacerebbe vestire la maglia della nazionale maggiore, che è sempre una cosa bellissima per ogni calciatrice. Per cercare di arrivarci continuo a lavorare e spero di riuscire a guadagnarmi questa occasione. Da ex biancoazzurra - prosegue - sono felice dell'avventura del Brescia perché dà lustro all'Italia in Champions League. Credo che le ragazze possano fare bene e sarebbe bello se riuscissero ad arrivare in finale, visto che quest'anno si gioca in Italia".
Forse non sarà il calcio a mancarle, ma c'è ben altro del nostro paese di cui Giulia fatica a fare a meno. "Prima di tutto la mia famiglia e la mia macchina, poi il cibo. Adoro la piadina romagnola e non vedo l'ora di tornare in Italia per farmi una bella scorta da portare qui".
Daniele Pompignoli
Twitter: @dpompignoli