INTERVISTA A MARTA CARISSIMI: DALLA NAZIONALE ALL’ISLANDA, UNA RAGAZZA DI FORTE CARATTERE E DETERMINAZIONE
- Laura Pressi
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1) Raccontaci un po’ di te, dalla tua laurea in ingegneria gestionale al Politecnico di Torino alla collaborazione con FootbalLab di Rita Guarino, dalle tue passioni ai tuoi interessi?
Ho intrapreso il percorso universitario alcuni anni fa, conseguendo la laurea triennale in Ingegneria dell’organizzazione di impresa nel 2011. Ho proseguito con la magistrale, e a Luglio mi laureerò in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Torino. La mia vita si snoda principalmente tra università e calcio. Calcio non solo fatto di allenamenti e partite, ma il calcio a FootbalLab, il centro di formazione tecnica individuale di Rita Guarino. E’ una scuola per ragazzi e ragazze nella quale si lavora individualmente o con un massimo di 4 allievi per ogni insegnante, con una progressione didattica ben definita che utilizza attrezzature innovative studiate e realizzate dal team di FootbalLab. Ogni allievo intraprende un percorso specifico personalizzato, nel quale si pongono degli obiettivi e si lavora in maniera graduale per raggiungerli. Insomma una sorta di scuola di ripetizioni di calcio, che lavora a tutto tondo: dalla tecnica, alla tattica, all’aspetto condizionale e a quello psicologico: avere fiducia in se stessi e migliorarsi nel rapporto con gli altri è uno degli elementi di differenziazione di FootbalLab. Un modo completamente diverso di fare calcio, perché possiamo seguire il singolo allievo e curarne tutti gli aspetti, a differenza dei club dove un allenatore ha 10-20 bambini e deve guardare principalmente al risultato della partita. Noi non abbiamo fretta, vogliamo solo che l’allievo migliori. Io la vivo sotto il duplice aspetto di allieva e trainer, quindi nella sua interezza, e penso sia veramente un valore aggiunto sia per i ragazzi, che per le società, che possono contare su un supporto esterno e un lavoro non facile da inserire all’interno dei club. L’attività si svolge tutto l’anno e si conclude in estate con i camp estivi: insomma una vera scuola di 11 mesi all’anno, che, prima di averla conosciuta, l’avevo sempre sognata.
Sicuramente sono calcio, università e FootbalLab le attività che per ora occupano le mie giornate, ma il tempo libero mi piace utilizzarlo per viaggiare, scoprire nuovi posti e nuove culture nonché sperimentare con gli amici sport estremi. Se il tempo non è sufficiente allora navigo in internet alla scoperta di nuova musica o leggo un bel libro.
2) Cosa è per te il calcio, quando hai iniziato a praticare questo sport e se i tuoi genitori ti hanno accompagnata e sostenuta nelle tue scelte fin dall’ inizio?
Ho iniziato a giocare a calcio a 10 anni nella squadra maschile del mio paese, Gassino. Con loro ho passato cinque anni, sfruttando una proroga da parte della federazione che mi consentì di giocare a 15 anni con i pari età. Dal Gassino il passaggio al Torino, direttamente con la prima squadra. Dopo nove anni, ho lasciato a malincuore la maglia granata per approdare a Verona. Due anni di grandi soddisfazioni e la qualificazione in Champions, per poi passare quest’anno all’Inter.
Il calcio per me è passione pura, è dedizione, sacrificio, gioia e rabbia nello stesso tempo. Lo ami così tanto da dedicare tutto il tuo tempo per questo sport, ma se non ottieni quello per cui hai lavorato duramente lo odi, pensi di aver sprecato tempo e vorresti abbandonarlo. Un’ora dopo questo pensiero ti ritrovi sul campo, più determinata e vogliosa di prima per raggiungere l’obiettivo.
3) Quindi ricapitolando: nove anni nel Torino, due anni nel Verona con una bellissima esperienza in Champions, un anno all’Inter e ora in Islanda, quanto sarà importante per te questa esperienza e cosa ti aspetti dal campionato islandese?
L’Islanda sarà un’esperienza sicuramente positiva e formativa. Mi darà tanto, non solo da un punto di vista calcistico, ma soprattutto umano. Il valore aggiunto di questa avventura sarà l’incontro con una cultura e una mentalità completamente diversa dalla mia, sarà il confronto con le ragazze islandesi, ma anche con l’americana e la serba che giocano nello Stjarnan. Mi aspetto di tornare in Italia arricchita e migliorata, non solo come atleta, ma soprattutto come persona.
4) Nel corso della tua carriera calcistica finora quali sono stati i tuoi momenti più felici e quali quelli che ricordi con meno piacere?
La prima soddisfazione l’ho avuta da subito passando dall’U.S. Gassino alla prima squadra del Toro che militava in serie A. Dopo sei mesi la convocazione, sotto età, in nazionale under 19. Due europei e il mondiale in Tailandia nel 2004 sono stati momenti di grande realizzazione. Poi il 18 febbraio 2007 la prima chiamata in nazionale, e nel 2009 l’Europeo in Finlandia. Con i club ricordo con piacere l’annata 2006-07 con il Torino, nella quale arrivammo ovunque seconde dopo il Bardolino: un’annata intera raccontata nel film documentario “Il profumo del prato verde” , molto emozionante, sebbene il risultato finale non abbia premiato noi.
E poi l’approdo in Champions con il Verona e la storica rimonta contro il Birmingham davanti a 4.000 spettatori al Bentegodi.
Ogni infortunio non è un ricordo piacevole, soprattutto quelli alle ginocchia, con lunghi tempi di recupero, e nel bel mezzo di momenti importanti della stagione o della carriera…this is football. E i momenti negativi ci sono, ma più che ricordarli con dispiacere, li ricordo come tappe dalle quali ho imparato qualcosa e che mi hanno fatto crescere come atleta e come persona.
5) In Islanda parlerai soprattutto inglese, lo conosci bene? Pensi sia importante per le calciatrici italiane fare almeno una esperienza all’estero?
Il mio livello di inglese è mediocre: l’aver accettato la proposta dall’Islanda nasce proprio dalla volontà di perfezionare l’inglese e li lo parlano tutti come i madrelingua. Se non avessi giocato a calcio avrei fatto un erasmus universitario, proprio perché l’inglese è ormai basilare conoscerlo alla perfezione.
Quindi mi sento di consigliare un’esperienza all’estero per crescere, al di là dell’aspetto puramente calcistico.
Da italiana, per quanto riguarda il calcio, preferirei vedere tante straniere approdare nel nostro campionato, arricchendolo e innalzandone il livello, piuttosto che vedere tante italiane partire e impoverire ulteriormente il campionato.
6) Sei una centrocampista ma sai giocare in diversi ruoli, cosa consiglieresti
a una ragazzina che sta iniziando a praticare questo sport?
Divertiti e segui la tua passione. Ascolta i consigli di tutti, elaborali e traine degli insegnamenti. Osserva, ascolta e immagazzina, mettiti al servizio della squadra e, se necessario, impara un altro ruolo: ti farà crescere come calciatrice, e ti permetterà di capire meglio le tue compagne. Sii sempre umile, ma esprimi con determinazione la tua personalità.
7) E’ da anni che si dice che il calcio femminile in Italia non decolla, cosa a tuo avviso si potrebbe fare per rilanciarlo? Come secondo te si può fare a cancellare il pregiudizio che le donne che giocano a calcio sono dei “maschiacci” e che il calcio è uno sport solo per uomini?
Si parla tanto del passaggio dei club femminili sotto quelli maschili, e sicuramente potrebbe essere la chiave di volta almeno per far fronte alle difficoltà economiche. Perché venga rilanciato, il calcio femminile ha bisogno di visibilità, quindi di progetti, di idee concrete che portino ad associare la figura femminile al calcio. Penso agli sponsor, e alle sinergie che si possono creare, agli spot che ora legano i calciatori e che potrebbero essere creati in parallelo per le donne: creme, abbigliamento intimo, abbigliamento tecnico. Sarebbe il modo più veloce e di maggiore impatto per creare il connubio calcio e donna.
Abbiamo bisogno della professionalità degli staff maschili e dei loro impianti, dell'organizzazione e dei loro uffici marketing.
Tutti passi possibili, ma alla base di questa svolta deve esserci un radicale cambiamento di mentalità in Italia, inteso come Paese: deve mutare la concezione della donna sportiva, della donna manager, della donna calciatrice. Siamo lontani anni luce rispetto a tutti gli altri Paesi, anche quelli che sono meno sviluppati del nostro. Deve cambiare proprio la figura della donna all’interno della società. Quando succederà tutto questo allora non sarà più una stranezza se una bambina si presenta al campo entusiasta di giocare a calcio, o se una donna decide di essere mamma e calciatrice allo stesso tempo.
Di esempi ce ne sono tantissimi fuori dall’Italia, ma partendo per l’Islanda, penso anche solo a loro, che non sono nelle prime posizioni del ranking FIFA né sono modello di innovazione tecnologica e sviluppo. Le ragazze sono dilettanti, come in Italia e come nella maggior parte dei Paesi. Lo stipendio è un rimborso spesa, come in Italia. Una cosa però la differenzia dall’Italia: hanno gli stessi trattamenti dei colleghi maschi. Le 10 squadre della serie A sono tutte sotto il maschile, con cui condividono impianti, strutture e fans. Stesso sponsor per i due campionati, la Pepsi, stessi diritti tv e uguale premio per chi vince il campionato. La nazionale riceve quote identiche di sponsorizzazione e la diaria giornaliera è la medesima per la nazionale femminile e per quella maschile.
Non è un Paese che ti permette di vivere di calcio, ma ti dà la possibilità di giocare a calcio indistintamente, che tu sia donna o uomo.
Ringrazio Marta Carissimi per la disponibilità complimentandomi con le parole spese in questa intervista per il calcio femminile e le auguro che l'esperienza in Islanda sia positiva e indimenticabile.
Ringrazio inoltre il suo agente Nicola Iachelli per i contatti, per la sua disponibilità e professionalità.
Laura Pressi