Approvata la riforma dello sport
- Silvio Bogliari
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Il governo Draghi ha approvato in extremis la riforma presentata dall’ex ministro Spadafora, criticata da molti e attaccata su più fronti che, invece, ad opinione di chi scrive, è una riforma positiva soprattutto se analizzata da un punto di vista giuridico.
Con la citata riforma, l’Italia è riuscita a proporre concretamente il professionismo nel calcio femminile prima di altri paesi comunitari nostri “vicini”, che spesso e volentieri, vengono considerati dall’opinione pubblica come più avanzati, più sviluppati, punti di riferimento del panorama femminile: in Italia, si introdurranno contributi previdenziali ai fini pensionistici, tutele assicurative, salario minimo per le giocatrici e la tutela per la maternità.
In Spagna ancora oggi non si può parlare di professionismo femminile, a causa di una federazione che padroneggia il movimento e intende lasciare soltanto le briciole alla Lega maschile (i.e. LaLiga); in Portogallo ancora si è lontani dal raggiungere il professionismo al punto che quest’estate è stato annullato all’ultimo minuto il comunicato ufficiale della Federazione Portoghese con cui imponeva la riduzione degli stipendi esclusivamente delle giocatrici (causa covid-19).
In Francia la serie A non è ancora considerata, nella sua interezza, come una categoria professionistica, riconoscendosi soltanto la possibilità per i clubs di sottoscrivere con le giocatrici dei contratti di natura semi-professionistica, dei contratti chiamati “federativi” o, infine, dei contratti denominati “amatoriali”.
Inoltre nel giugno del 2019 venne presentata da parte di quattro senatrici, d’Annick Billon, Céline Boulay-Espéronnier, Victoire Jasmin e Christine Prunaud, la richiesta di far gestire il campionato femminile di Seria A alla Lega maschile (LFP) che si occupa del campionato professionistico di Serie A (la Ligue 1), invece di lasciare l’amministrazione della Serie A femminile alla federazione francese, responsabile del solo calcio dilettantistico: tutto però è rimasto in fase di stallo.
Per cui, arrivare al professionismo della serie A italiana ben prima degli altri paesi, nostri “competitors”, è un ottimo risultato.
Altra fondamentale novità introdotta dalla riforma dello sport, è quella relativa all’abolizione del vincolo sportivo (che però entrerà in vigore fra cinque anni), norma di natura sportiva contraria non solo alla libertà contrattuale del giocatore/giocatrice, ma anche alla libertà di associazione.
Il vincolo sportivo in Italia infatti, così com’è, impedisce ai giocatori/giocatrici minorenni, ma anche maggiorenni, di potersi tesserare liberamente con le società sportive e di recedere, in qualsiasi momento, dall’associazione stessa.
La libertà di associazione è riconosciuta non solo dalla Costituzione italiana, ma anche dalla Carta Europea dei diritti fondamentali.
Non solo: in Italia ancora oggi esiste una norma (l’art. 40 quater NOIF) che obbliga i giocatori/giocatrici dilettanti che ritornano in Italia dopo essersi trasferiti all’estero, a tesserarsi presso la società in cui giocavano prima del trasferimento fuori dai confini nazionali.
Negli altri paesi europei invece, il vincolo sportivo è già stato abolito da molti anni: in Spagna, patria delle cosiddette “cantere”, ovvero i settori giovanili spagnoli e generalmente invidia di molti paesi, il vincolo sportivo, nel calcio professionistico, è stato abolito nel 1979.
Nel calcio dilettantistico invece, il regolamento generale della Federazione spagnola, prevede che tutti i giocatori delle giovanili saranno liberi di accasarsi in una nuova società al termine di ogni stagione sportiva, eccetto l’ultima prevista nel cartellino: in caso di mancato accordo con la società, il giocatore/giocatrice dilettante rimarrà vincolato alla società per massimo un anno.
In Francia, in tema di vincolo sportivo nel calcio dilettantistico, la Federazione francese prevede soltanto delle norme a tutela dei minori, ad esempio proibendo il trasferimento in un’altra società ai giocatori/giocatrici tra i 6 e i 15 anni, a meno che il trasferimento non avvenga nella stessa regione o non sia superiore a 50 km dalla residenza del minore. Nel caso dello svincolo inoltre, per le categorie comprese tra i 6 e i 15 anni, non è richiesto alcun accordo con il club.
In Inghilterra il vincolo sportivo è stato abolito nel 1961 a seguito anche di una battaglia processuale terminata in tribunale, ovvero il caso Eastham v. Newcastle United del 1964.
In Portogallo infine, il vincolo sportivo nel calcio professionistico non è più in vigore, mentre nel calcio dilettantistico la federazione prevede un vincolo sportivo, per un minimo di un anno e per un massimo di tre anni, per i soli giocatori/giocatrici compresi tra i 14 e i 18 anni (che però scadrà automaticamente nella stagione in cui il giocatore compie i 18 anni).
Per cui, alla luce degli altri ordinamenti sportivi a noi vicini, una riflessione circa l’utilità del vincolo sportivo deve essere realizzata, per di più se si guardano gli altri sistemi, come la Spagna, con invidia nei confronti dei loro settori giovanili fucine di giovani talenti e soprattutto se nessuno degli altri ordinamenti sportivi prevede delle norme così stringenti in tema di vincolo sportivo.
Infine, in merito al lavoro dilettantistico, altro punto cardine della riforma, è giusto sottolineare che nel mondo dilettantistico vige l’assoluta precarietà, non solo in merito ai giocatori/giocatrici che nella maggior parte delle categorie dilettantistiche non hanno né contratti né tutele, ma anche per quanto riguarda i dirigenti/collaboratori.
Introdurre delle tutele previdenziali, lavoristiche e assistenziali pertanto, può favorire la fine della precarietà assoluta, del lavoro e dei pagamenti in nero.
Inoltre la riforma regolarizza soltanto delle forme collaborative che, di fatto, esistono già ovvero lavoratori sportivi dilettantistici subordinati, lavoratori sportivi dilettantistici autonomi, anche nella forma di collaboratori coordinate e continuative, lavoratori sportivi di carattere amministrativo-gestionale e infine, prestazioni di tipo occasionale.
Per cui la riforma, non fa altro che tutelare i nuovi lavoratori sportivi, ora riconosciuti come dei veri e propri lavoratori, di fronte alle società dilettantistiche che spesso, prima seducono i propri dirigenti promettendo sontuosi progetti sportivi a lungo termine, e poi li abbandonano a loro stessi.
Di conseguenza, i dirigenti/collaboratori/accompagnatori, finiscono spesso e malvolentieri col rimetterci di tasca propria invece che guadagnare qualcosa tanto a livello sportivo/umano come a livello economico, e inoltre, non possono effettivamente adire le vie legali ordinarie né quelle sportive, per mancanza di documenti scritti: è successo anche a chi scrive.
In conclusione, una riforma che introduce il professionismo nel calcio femminile, l’abolizione del vincolo sportivo nonché maggiori tutele sportive e lavorative nel calcio dilettantistico, è un’ottima riforma, salvo ripensamenti e modifiche dei prossimi anni.
Silvio Bogliari