Il professionismo nel calcio femminile in Europa
- Silvio Bogliari
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Nel mondo esistono tre modelli di gestione del calcio: il modello intervenzionista, quello astensionista e infine, il modello misto.
Il modello astensionista è tipico dei paesi anglosassoni, o di common law, e degli Stati Uniti: in questi paesi infatti, le federazioni esistenti sono enti privati e non dipendono dai Ministeri né dai Governi.
Al contrario, il modello misto è un mix tra il modello intervenzionista e astensionista, in cui enti privati svolgono, per concessione, funzioni pubbliche: è quanto avviene in Brasile.
Lo sport italiano, come accade in Spagna, Portogallo, Francia e tutti i paesi di civil law, è espressione del modello intervenzionista in quanto gestito e amministrato da enti pubblici: il CONI in Italia, il Consejo Superior de Deportes in Spagna, il Conselho Nacional Do Desporto in Portogallo, sono tutti enti pubblici, al vertice della struttura sportiva, che dipendono dai Ministeri.
La struttura piramidale dello sport vede al secondo posto le Federazioni nazionali che compongono l’amministrazione pubblica sopra menzionata: la FIGC è membro del CONI, così come lo sono tutte le altre federazioni sportive nazionali.
Infine, al terzo posto, troviamo le Leghe, ovvero le associazioni private rappresentative dei clubs di Serie A, Serie B ecc., a loro volta affiliate alla FIGC e che svolgono le proprie funzioni su delega della federazione.
In tutti i paesi di gestione pubblica dello sport il professionismo calcistico viene individuato come quel rapporto lavorativo stipulato in un contratto a titolo oneroso con la società di appartenenza, avente ad oggetto un’attività sportiva prestata con carattere di continuità nell’ambito di uno sport considerato professionistico dalla corrispondente federazione nazionale: in Italia questa configurazione normativa viene definita nell’art.2 della legge n.91 del 1981.
Tuttavia, è necessario differenziare lo sport professionistico nella sua interezza con lo status professionistico di cui può beneficiarsi una giocatrice a fronte di un contratto di lavoro: è infatti possibile che una giocatrice venga considerata professionista da un punto di vista contrattuale e salariale.
In Spagna il calcio femminile non è ancora giuridicamente considerato uno sport professionistico poiché non è stato riconosciuto come tale dalla Real Federación Española de Fútbol.
Da un punto di vista normativo, la legge nazionale dello sport, la n.10 del 15 ottobre del 1990, non contiene nessun riferimento al calcio femminile; inoltre, è tuttora vigente il Real Decreto 1835/1991 del 20 dicembre 1991 sulle “Federazioni Sportive Spagnole e il Registro delle Associazioni Sportive” che prevede: “La denominazione delle leghe professionistiche dovrà includere l’indicazione della modalità sportiva di cui si tratta. Non potrà esistere più di una lega professionistica per ogni modalità sportiva e sesso in ambito statale”.
Pertanto, a norma del precedente precetto, essendo già attiva una lega professionistica calcistica maschile (la Liga o “Liga Santander”) di ambito statale, non potrebbe esistere l’equivalente campionato professionistico femminile.
Con tutto ciò, di recente, i sindacati delle giocatrici e le associazioni rappresentative dei clubs spagnoli, hanno siglato il primo accordo collettivo europeo della storia che regolerà il calcio femminile di Serie A in tutti i suoi principali aspetti.
Oltre all’accordo collettivo, è stato già presentato il disegno della nuova legge dello sport nazionale che introdurrà la parità di condizioni anche in ambito sportivo e il professionismo nel calcio femminile: la precedente legge nazionale dello sport spagnola è stata promulgata “soltanto” nell’ottobre del 1990 e viene considerata unanimemente anacronistica, mentre in Italia la base del sistema sportivo è una legge del 1981.
In Spagna credono giustamente che i cambiamenti e le riforme settoriali debbano essere approvati dalla legge, poiché pubblica è la gestione dello sport: come in Italia, il presidente del Consejo Superior de Deportes (omologo del CONI) è nominato dal Consiglio dei Ministri spagnolo.
In Francia da un punto di vista giuridico, il calcio femminile, così come in Spagna e in Italia, non è ancora considerato uno sport professionistico dalla Fédération Française de Football.
Nel Code du Sport, che è la norma sportiva statale di riferimento ed è stato aggiornato a gennaio 2020, non ci sono articoli dedicati specificamente al calcio femminile, bensì vi è una generale e dettagliata regolamentazione delle pari opportunità nello sport.
Per quanto riguardo il professionismo, il Code du Sport stabilisce che la federazione francese può creare un campionato di natura professionistica la cui gestione sarà attribuita ad una specifica Lega che avrà natura di associazione privata: per la nascita di tale campionato pero è necessaria l’approvazione di un decreto del Consiglio di Stato adottato previo parere positivo del Comitato Nazionale Olimpico e Sportivo francese (l’equivalente del CONI italiano).
Inoltre, il Code du Sport, regola il concetto di sportivo professionista considerato colui che riceve una retribuzione, stabilita in un contratto di lavoro a tempo determinato, per l’attività sportiva prestata ad una società che abbia una delle forme giuridiche previste dal codice statale.
In quanto alle norme federative francesi, si assiste ad una peculiare considerazione contrattuale delle giocatrici.
Se infatti la federazione obbliga i clubs maschili ad assumere lo status di club professionista per poter competere in Serie A (Ligue1) o in Serie B (Ligue2), questo non è previsto per il calcio femminile.
Siccome per le giocatrici la Lega di riferimento è quella dilettante e il calcio femminile non ha assunto lo status di sport professionistico, le calciatrici sono generalmente obbligate a firmare i cosiddetti “contratti federativi” ovvero gli stessi contratti previsti per i giocatori dilettanti.
Infatti, le norme federative francesi prevedono che soltanto i clubs maschili dilettantistici o che non possiedono più lo status di professionista, possono proporre i “contratti federativi” ai propri calciatori, ovvero gli stessi contratti del calcio femminile.
I contratti federativi non sono dei contratti di lavoro, ma dei contratti che permettono alle giocatrici di percepire una retribuzione che oscilla tra i 750€ al mese in caso di impiego part-time, ai 1.500 € a tempo pieno: al contrario, la professionista Ada Hegerberg attaccante dell’Olympique Lyonnais, percepisce 400.000 € all’anno.
Come prevedibile, nella D1, soltanto i grandi clubs possono proporre dei contratti da giocatrici professioniste alle proprie atlete, mentre la maggior parte delle giocatrici della massima serie (161 su 290), si vede obbligata a firmare i “contratti federativi” dovendo poi conciliare l’attività sportiva con un’altra attività lavorativa.
Infine, a norma dello statuto dedicato alle giocatrici e approvato dalla federazione, si stabilisce che “la giocatrice federata è una professionista del calcio federato per la natura salariale della sua attività e non per lo status del suo club”: di conseguenza, un club francese che ha la forma giuridica di club dilettantistico, può tesserare tra le sue fila giocatrici professioniste e giocatrici dilettanti e, viceversa, una giocatrice dilettante può competere per un club professionistico.
In Portogallo, la legge nazionale dello sport, la n.5/2007 “Lei de Bases da Actividade Física e do Desporto”, non si riferisce in nessuno dei suoi cinquantadue articoli, al calcio femminile né tantomeno alle giocatrici.
Anche in Portogallo il calcio femminile è gestito dalla Federazione nazionale e non dalla corrispondente Lega, e come negli altri paesi europei, a norma della legge n.5/2007, la federazione portoghese è un ente pubblico senza scopo di lucro che promuove su scala nazionale la pratica del calcio.
In tema di professionismo, quello che sancisce la legge portoghese sullo sport è che la competenza per definire uno sport professionistico è del Ministro dello Sport, che deciderà di concerto con il Conselho Nacional Do Desporto, una volta ricevuta la richiesta da parte del presidente della federazione sportiva di riferimento. Tra i parametri che si richiedono per poter qualificare uno sport come professionistico, a norma di legge, vi è anche un’alta media di spettatori per ogni partita: ad oggi, in Portogallo gli sport professionistici sono il calcio maschile, il basket e la pallamano.
In Portogallo, una giocatrice, singolarmente considerata, può essere dilettante o professionista, a seconda del contratto sottoscritto con il club di appartenenza: alla luce delle norme federative portoghesi, è considerata una giocatrice professionista colei che ha un contratto scritto di lavoro subordinato e riceve una retribuzione dalla società, mentre è dilettante la giocatrice che non ha un contratto, non riceve uno stipendio ma soltanto un rimborso spese.
In conclusione, quello che rimane dilettantistico è il calcio femminile considerato nella sua interezza.
Infine in Inghilterra non si prevedono leggi sportive nazionali di riferimento perché, essendo un paese di common law, lo sport viene gestito da enti privati, salvo casi eccezionali di interesse pubblico, come avvenne per il Football Spectators Act del 1989, adottato dal Parlamento britannico per prevenire la violenza negli stadi.
Inoltre, essendo un paese la cui struttura giuridica si basa sul principio dello stare decisis, non esistono norme di riferimento poiché non previste dallo stesso ordinamento giuridico nazionale.
Nonostante la struttura giuridica inglese, la Women Super League, è l’unica competizione, globalmente considerata, ad essere stata riconosciuta come professionistica dalla Football Association: sarà un caso, ma è l’unico campionato femminile professionistico europeo presente proprio nel sistema in cui è assente una federazione nazionale giuridicamente alla stregua degli altri paesi comunitari.
La “federazione” inglese ha infatti varato la riforma del sistema femminile già a partire dalla scorsa stagione, imponendo ai clubs di Premier League di sottoscrivere dei contratti da giocatrici professioniste con tutte le calciatrici della propria rosa, garantendo così una tutela salariale e contributiva piena. L’obiettivo della Football Association è stato quello di evitare un eccessivo divario sportivo tra società con giocatrici a tempo pieno e società con calciatrici part-time che, ovviamente, dovevano dedicarsi ad attività lavorative parallele al calcio.
Come conclusione di questa panoramica europea, è evidente che il calcio femminile nei principali paesi comunitari, non gode ancora della considerazione giuridica necessaria per poter progredire ulteriormente e diventare uno sport professionistico a tutti gli effetti.
Silvio Bogliari