Sportilia e l'Imolese partecipano al Progetto Stems contro le discriminazioni
- Walter Pettinati
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Sportilia, sede del ritiro estivo da diversi anni dell’Imolese femminile, partecipa a un progetto Toi Leonardo Da Vinci, denominato Stems (Supporting the transfer of Education & Mobility strategies) che vede la compartecipazione di diverse organizzazioni e college tra cui Southern Regional College, Irlanda del Nord, Cumbernauld College Scozia, Limerick Institute Irlanda, Decrolly sl Spagna, Sari (Sport Against Racism Irlanda). Il progetto si pone come obiettivi di migliorare il processo di mobilità europea attraverso un manuale di buone prassi ma soprattutto la promozione e la divulgazione di un corso “Cultural Diversity through Sport”, che aiuti a contrastare le discriminazioni nei confronti di ogni tipo di diversità, pregiudizio e settarismo nello sport e favorire l’interazione tra persone di altre etnie, orientamento religioso e sessuale in un clima di reciproco rispetto.
Il corso è attualmente accreditato a livello nazionale in Irlanda del Nord e affronta temi legati a stereotipi, sessismo, omofobia, razzismo, pari opportunità nello sport e non solo. I partners coinvolti stanno operando perché si riesca ad adattarne i contenuti e accreditarlo anche in altri paesi della comunità europea, Italia inclusa. L’intervista all’Imolese sarà introdotta da una prefazione dell’avvocato Michela Chiarini dal titolo “Donne per uno sport migliore…quando uno sport discrimina”.
Prefazione a cura dell’Avv. Michela Chiarini
Per visionare l intero articolo : http://marconatoli.altervista.org/blog/donne-per-uno-sport-migliore-quando-uno-sport-discrimina-3/
La storia dello sport ancora oggi ci mostra come, qualunque sia lo sport praticato da una donna, questo stesso sport ed il ruolo della donna stessa come atleta siano considerati minoritari rispetto agli sport praticati al maschile. Ciò, nonostante i successi ottenuti sia a livello nazionale che internazionale.
E’ possibile affermare perciò che la partecipazione delle donne alle attività sportive è un tema scottante. Parimenti è possibile affermare che la strada per raggiungere “pari opportunità” tra atleti ed atlete è ancora lunga anche se molto è stato fatto soprattutto a livello Europeo. L’impegno dell’Unione Europea in tal senso è forte, ma non è sufficiente, perché allo stesso tempo è necessario che vi sia un impegno eguale da parte di tutti i vari protagonisti a livello nazionale nei vari paesi.
In Italia, in particolare, manca una legge sul professionismo sportivo perciò qualunque disciplina praticata da una donna atleta non è considerata come professionistica. Alle donne atlete è di fatto impedito l’accesso ad una legge dello stato e ad ogni minima tutela ( tutela sanitaria, tutela per la maternità, assicurazione contro i rischi, trattamento pensionistico … solo alcuni esempi). In sostanza le donne sono “dilettanti di diritto”, ma “professioniste di fatto”. Inoltre il compenso da esse percepite è un mero rimborso spese anche se il loro impegno sportivo è pari a quello di un professionista. Non vi sono fondi per migliorare le strutture sportive oppure questi vengono mal destinati. Vi sono minori investimenti economici anzi questi sono quasi assenti tutto lo sforzo ricade sulle società sportive che purtroppo faticano a trovare sponsorizzazioni ed aiuti. Inoltre, per i mezzi di informazione vi è un differente appeal tra atlete donne e uomini. Le donne acquistano visibilità solo ed unicamente in costanza dei Giochi Olimpici. Oppure le stesse vengono prese in considerazione per pubblicità che, nella maggior parte dei casi, non hanno nulla a che vedere con lo sport o con la prestazione sportiva, ma solamente con l’aspetto fisico della atleta. Allora alle donne non resta che “l’Arma” cioè arruolarsi nelle forze armate ove il trattamento è differente e vi è una maggior considerazione e tutela.
Differenze di genere esistono anche con riferimento alle donne quali: dirigenti sportive, presidenti di società sportive, donne manager nello sport, giornaliste sportive, allenatrici, esperte nel mondo sportivo, consulenti ed anche membri di organi ed organismi di rilievo nazionale o internazionale.
Le differenze e le discriminazioni sono ancora molte e particolarmente pesanti, a qualsiasi livello se una donna desidera impegnarsi attivamente nello sport; si pensi ad una ragazza che inizia a giocare a calcio l’affermazione più carina che può ricevere è che tale sport è uno sport prettamente maschile…. La situazione appare differente ad esempio nei paesi del Nord Europa o negli Stati uniti dove le atlete prevalgono sui colleghi maschi, vi sono strutture sportive più adeguate ed un maggior interesse dei mass media.
Molto molto lentamente qualcosa si sta muovendo anche in Italia, ma non è sufficiente, avviene tutto troppo lentamente e con troppa burocrazia.
Avvocato Michela Chiarini
Come è nata la passione per il calcio e quali sono state le difficoltà nell’iniziare?
Silvia Casacci: “La mia passione per il calcio nasce fin da piccola. Giocavo nel giardino con i miei vicini e con i cugini. Ho praticato altri sport perché non sapevo dell’esistenza di una squadra femminile a Imola. Prima di iniziare col tennis chiesi di giocare a calcio nella squadra dove giocava mio fratello e mi risposero che le bambine non le prendevano. A 14 anni ho lasciato il tennis e sono passata al calcio dove, dopo essermi messa in pari con le altre, ho capito che era l’attività che mi piaceva molto”.
Francesca Magrini: “La mia passione è nata grazie ai miei cugini con cui giocavo spesso. Ho iniziato nella squadra della parrocchia, poi mi ha visto un allenatore di una squadra del mio paese e ho cominciato a giocare nei Pulcini. Difficoltà? Da bambina no ma poi, a 12 anni, giocando con i maschi non mi passavano la palla. Poi a 14 anni sono passata in una squadra femminile e mi sono trovata benissimo”.
Federica Funiciello: “La passione ce l’ho fin da piccola giocando a scuola con i compagni. Ma ho iniziato a 13 anni perché non sapevo che ci fosse una squadra femminile a Imola. Quando mio padre ha saputo che c’era mi ha portato a giocare e mi sono trovata bene”.
Pensi che una donna che gioca a calcio in Italia sia in qualche modo ancora vittima di pregiudizi e discriminazioni? Se sì puoi fare degli esempi?
Silvia Casacci: “In Italia non è la donna che è discriminata ma il movimento. I ragazzi sono incuriositi e fanno tante domande anche stupide come: “Giocate in 11 per 90 minuti?”. Stanno facendo di tutto per ridurre il nostro movimento. Mi ha dato fastidio l’anno scorso quando ricevemmo un rifiuto da parte delle istituzioni per organizzare una conferenza stampa che faceva conoscere meglio ciò che facciamo”.
Angelica Brienza: “Ci sono tanti pregiudizi nei nostri confronti. Ci fanno domande ridicole per noi. Mancano le informazioni. Da bambine è difficile trovare una squadra”.
Hai mai vissuto episodi di discriminazione personali? Se sì di che tipo?
Milena Gandolfi: “A causa della mia malattia ho subito offese da squadre avversarie mentre facevo il guardalinee”.
Loris Poggi: “Ho vissuto con altri colleghi delle difficoltà perché siamo considerati tecnici di bassissimo livello. Non è giusto perché non siamo dei professionisti ma, il poco tempo che abbiamo, lo dedichiamo a migliorare noi stessi e a cercare di trasmettere alle ragazze le nostre idee. Ho notato in molti allenatori nel maschile una certa supponenza”.
Come giudichi l’interesse per il calcio femminile in Italia rispetto ad altri paesi in Europa come ad esempio i paesi nordici o gli Stati Uniti?
Mirko Melandri: “In alcune redazioni il calcio femminile non è seguito. I colleghi e gli amici mi chiedono se non mi annoio a vedere le partite e pensano che non ci sia dello spettacolo”.
Loris Poggi: “Riguardo al calcio internazionale noi partivamo negli anni ’80 con un ottimo terzo posto agli Europei, a ruota della Germania e delle altre squadre forti mentre altre nazioni come Giappone, Cina e Canada non esistevano. Un punto così alto non l’abbiamo più toccato sia per i pregiudizi attorno al nostro mondo sia perché alla Federazione non interessa che cresca il movimento. La torta se la spartiscono altri e non si vuole che anche il femminile vi partecipi. In Italia non si capisce perché non si riesca a lavorare sul settore giovanile. La Federazione non ti regala niente e, paradossalmente, è conveniente per una società non fare il vivaio ”.
Milena Gandolfi: “Durante il campionato europeo under 19 la Uefa ha chiesto collaborazione a una squadra maschile. Sono riuscita a ottenere che le nostre ragazze trovassero spazio per dare una mano in questa manifestazione ma è stata durissima”.
Che cosa ha il calcio femminile da invidiare a quello maschile e viceversa?
Francesca Magrini: “Nel calcio maschile la passione dopo un po’ si trasforma in soldi”.
Alessia Marzo: “Per il maschile le strutture sono migliori”.
Silvia Casacci: “Dobbiamo sapere, noi donne, che dobbiamo avere un’altra strada oltre al calcio perché non potremo vivere di questo”.
Mirko Melandri: “Il calcio maschile ha da invidiare a quello femminile la cattiveria agonistica e l’abnegazione”.
Lo scopo di questa intervista è sensibilizzare, informare e contrastare certe forme pregiudiziali che poi portano a discriminare nello sport e nella vita. L’intero movimento del calcio femminile è sicuramente cresciuto in Italia negli ultimi 10 anni, e, si spera, crescerà e migliorerà ancora ulteriormente in tutti i suoi aspetti sportivi ed extra sportivi. Se tu potessi cambiare o migliorare delle cose a livello di “sistema” o “culturale” cosa suggeriresti di fare ?
Federica Funiciello: “Quando ho ritirato la Coppa per la vittoria del campionato di serie B a Roma, dai piani alti hanno detto che le donne dovrebbero giocare a sette e non a undici. C’è tanta strada da fare”.
Loris Poggi: “Il pregiudizio non è nei bambini ma nei genitori anche dei maschi. Tanti anni fa con mister Ademaro Mosconi abbiamo fatto un campionato con una squadra di sole donne che affrontavano i maschi. Quando abbiamo vinto qualche partita i genitori avversari prendevano in giro i figli dimostrando di non saperli educare a una cultura sportiva”.
Mirko Melandri
Ufficio Stampa Imolese femminile acfd