A tutto campo con... Hedvig Lindahl
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Hedvig Lindahl non ha bisogno di troppe presentazioni. Classe 1983, nata a Katrineholm, in Svezia è considerata uno dei portieri più forti al mondo.
Ha iniziato la sua carriera giocando in diverse squadre svedesi per infine approdare nel 2014 al Chelsea Ladies, dove tuttora ricopre il suo ruolo, lo stesso che da anni riveste nella nazionale svedese. Nella sua lunga e ricca carriera ha partecipato ai Campionati Europei, ai Campionati Mondiali e alle Olimpiadi. Ha vinto il premio di miglior portiere svedese dell’anno diverse volte, mentre per due anni consecutivi (2015 e 2016) è stata insignita del Diamantbollen, premio annuale assegnato alla miglior giocatrice svedese.
Sempre nel 2016 è rientrata nella lista delle 5 giocatrici candidate al premio di Giocatrice dell’anno nel campionato inglese (Women's PFA Players' Player of the Year) e proprio un paio di settimane fa è rientrata nella top 11 del 2017 stilata dalla FIFPro, classifica basata sul voto di oltre quattromila giocatrici provenienti da più di 45 paesi. Oltre alla sua bravura in campo, Hedvig Lindahl rappresenta sicuramente un esempio e un’ispirazione per le generazioni attuali e future di giocatrici. Proprio di questo ed altro abbiamo parlato in questa intervista in cui ci racconta i suoi inizi, le sue esperienze e come vede il calcio femminile oggi.
Sulla tua pagina Facebook ho letto che hai voluto le tue prime scarpe da calcio quando avevi solo 4 anni. Noi siamo coetanee, io sono cresciuta con due fratelli maggiori e il calcio era il mio pane quotidiano, però quando sono diventata adolescente e volevo giocare a calcio, da noi c’erano pochissime opportunità per una ragazza. Inoltre, molte persone tendevano a sminuire questa passione dicendo che il “calcio era per ragazzi”. E’ stato lo stesso per te in Svezia? Come sono stati i tuoi inizi?
Non ho mai percepito il fatto che il calcio non fosse per ragazze, tuttavia il ruolo di portiere rappresentava in qualche modo una barriera. Quello era il ruolo in cui ti ritrovavi coperta di fango e ti tuffavi ovunque, qualcosa che in generale forse ai tempi non si aspettava da una ragazza. Oggi sono la prima a sostenere che ragazzi e ragazze possono fare esattamente ciò che vogliono, indossare quello che vogliono ed essere chi vogliono. Sì, abbiamo ruoli di genere che derivano dalla storia, ma io stessa voglio essere parte del cambiamento che porterà alla loro eliminazione. Ricordo che volevo fare skateboard quando ero piccola, ma ho assecondato fino in fondo questa passione perché ero una ragazza. Con il calcio è stato più facile perché ero brava e non avevo problemi ad andare avanti. Nel mio piccolo villaggio giocavo con i ragazzi che mi accettavano come una di loro. Nella mia carriera comunque non sono mancati commenti maligni, ma non mi hanno mai fermato.
Hai iniziato la tua carriera in Svezia e ora giochi in Inghilterra, hai visto molti posti e incontrato diverse persone. Quali sono le principali differenze che hai osservato a livello di calcio femminile? Ci sono paesi che dovrebbero essere presi come esempio per incoraggiare le ragazze a giocare a calcio?
Nella maggior parte dei paesi europei è del tutto ok giocare a calcio se sei una ragazza, ma ci possono essere differenze sottili nei valori ad esso collegati. Crescendo ho sentito numerosi esempi di squadre femminili che venivano discriminate dai loro club o dai comuni stessi in termini di tempi di gioco. Veniva concesso loro del tempo sempre dopo che le squadre maschili si erano allenate. Adesso veniamo discriminate perché non otteniamo la stessa quantità di soldi da investire nello sport femminile rispetto a quello maschile. Sentiamo sempre dire che il mercato dello sport maschile è più grande e quindi la quota dedicata a noi deve essere minore, ma in Svezia negli ultimi anni l'atteggiamento sta cambiando, ora si pensa che non sia politicamente corretto da parte degli sponsor non assumersi le proprie responsabilità. Una società non fa una bella figura se valuta lo sport maschile più importante di quello femminile. Quindi, forse ora stiamo assistendo a un cambio di paradigma. Questo rappresenta un buon esempio, così come lo sono Islanda e Norvegia. Purtroppo però ci sono anche esempi negativi. La mia prima preoccupazione è linguistica. Se un club chiama le proprie squadre così: prima squadra, squadra dell'accademia, squadra femminile o ladies team, c'è una grossa barriera da abbattere. Per me l'uso della lingua rivela come valuti le tue squadre, la Svezia è un buon esempio, mentre qui in Inghilterra e in Italia c'è ancora del lavoro da fare.
Immagino che tu abbia avuto alti e bassi nella tua carriera, qual è stata la motivazione che ti ha fatto andare avanti nei momenti difficili?
Sognavo che un giorno sarei diventata il miglior portiere del mondo. Quando i tempi erano davvero duri, quando stavo per mollare, la mia piccola voce interiore alla fine mi ha convinto ad andare avanti. Non tutti hanno il mio stesso sogno, ma ciò che è importante è che tutti dovremmo ascoltare noi stessi e andare nella direzione di quello che pensiamo e valutiamo importante per noi. Se il calcio rientra in queste cose, ce la si può fare anche nei momenti difficili.
Sei sposata con figli, è difficile combinare la vita calcistica con quella familiare? Spesso ho letto di donne che hanno smesso di giocare per dedicarsi alla famiglia. Cosa ne pensi a riguardo e cosa credi si dovrebbe fare per far sì che le donne continuino a giocare anche se decidono di avere una famiglia?
Sì, è una sfida. Ho una moglie meravigliosa che ha supportato pienamente il mio sogno. Questo significa che lei si assume molte responsabilità quando sono via ed è lei che rappresenta il fattore costante nella vita dei nostri bambini. Credo che le federazioni e i club avranno bisogno di una politica che affronti il problema di come sostenere le giocatrici con bambini, perché è difficile finanziariamente ed emotivamente andare avanti. Forse i club garantiranno la presenza di babysitter quando i bambini sono piccoli, o la possibilità per le famiglie di viaggiare ogni tanto quando per esempio andiamo in ritiro. Qui al Chelsea ho un ottimo sostegno grazie a un manager che valorizza molto la famiglia.
Credo che attualmente qualcosa stia cambiando per il calcio femminile, sempre più persone sono interessate a seguirlo e sempre più ragazze iniziano a giocare. Come vedi il calcio femminile nel mondo al momento? Cosa si dovrebbe fare per migliorare in futuro?
Sono d'accordo con te, ci si sta muovendo nella giusta direzione e una volta che le persone che hanno potere prenderanno sotto la propria ala il calcio femminile, le cose gireranno velocemente. Faccio parte di questo mondo da quando il gioco lentamente ha iniziato a diventare sempre più professionale e ci vorrà del tempo ma presto avremo leghe professioniste di alta qualità in molti posti al mondo. Se sempre più soldi verranno investiti nel nostro mondo, avremo a disposizione uno staff sempre più qualificato che agevolerà le giocatrici verso una carriera professionale. Un maggior numero di giocatrici sarà in grado di rimanere più a lungo nel gioco perché gli stipendi saranno più alti. Già ora posso intravedere le opportunità che una ventenne di oggi avrà da qui a 10 anni.
Che rapporto hai con le tue compagne di squadra? Qual è l'atmosfera tra donne che giocano insieme? E invece il rapporto con i colleghi maschi, sostengono il calcio femminile?
Essendo più adulta, a volte ho difficoltà a stare al passo con tutti le giovani, quindi si tratta soprattutto di un rapporto professionale, ma a volte usciamo insieme anche al di fuori del campo. Per lavorare bene insieme, è importante essere parte del gruppo, essere rispettata per la persona che sei e non solo per quello che porti in campo, ma arrivata a 35 anni spesso mi sento più vicina in età ed interessi al tavolo dello staff. Sono comunque una sostenitrice della vecchia atmosfera da squadra, dove ci si aiuta a vicenda a giocare meglio. A volte ho paura che con se iniziano ad arrivare più soldi nel giro, l'ambiente del gioco sarà un po' più spietato, ma la mia filosofia è che se vuoi essere la migliore, devi battere i migliori, e allora perché non allenarti contro le migliori tutti giorni? Aiuta tutti ad esprimere il meglio e la tua squadra sarà al meglio. Non incontriamo spesso i giocatori, ma quando lo facciamo, sono di supporto e rispettosi. Lo staff a volte ci riferisce che i ragazzi chiedono come è andata la nostra partita e mostrano interesse reale.
La tua carriera è fantastica. Molte persone ti reputano il miglior portiere al mondo, questo riconoscimento ti fa sentire più responsabile nel motivare e coinvolgere sempre più ragazze a giocare?
Grazie. Mi sono sempre considerata un modello e ho cercato di agire di conseguenza. Prima di essere ufficialmente considerata come una delle migliori, poteva non sembrare necessario agire in quel modo, ma nel mio cuore ho sempre saputo quale era il mio posto e le responsabilità che comporta. Fare da guida, aiutare gli altri lungo il loro percorso e mostrare sempre come essere gentili l'uno verso l'altro, sono valori che reputo fondamentali per me.
Oltre a giocare, quali sono i tuoi piani per il futuro, hai intenzione di rimanere nel mondo del calcio?
Ho fatto un salto nel buio quando ho deciso di lasciare i miei studi di sport management mentre stavamo per avere il nostro primo figlio. Dovevo farlo per poter essere al meglio nella mia professione e allo stesso tempo avere abbastanza tempo per stare con nostro figlio. Quindi, ora sono in una situazione in cui ho poca istruzione su cui contare, ma probabilmente in qualche modo rimarrò all'interno del mondo del calcio.
Un'ultima domanda, potresti raccontarci un momento o un episodio della tua carriera che non scorderai mai o che ha cambiato la tua vita in qualche modo?
Ad un certo punto della mia vita, il mio modo di competere per arrivare in cima il più velocemente possibile, davanti a chiunque altro, non era più sostenibile. Sono sempre stata molto ambiziosa in tutto ciò riguarda il calcio, ma ciò ha portato alla paura di fallire. Una paura così profondamente radicata che non avevo nemmeno il coraggio di provarci ancora, cosa che inevitabilmente porta al fallimento. Cercare di spingermi ad ogni costo in situazioni forzate, ha portato alla malattia, all'infortunio e alla realizzazione di una delle mie più grandi paure: non essere più la numero 1 in Svezia. Ritrovarmi in questo nuovo ruolo mi ha fatto capire che il mondo non era crollato e che avevo ancora tempo e capacità per tornare e riprendermi quella posizione. Ho compreso che il mondo non è una scala su cui tutti corriamo, ma è fatto di cerchi e ogni cerchio nella vita ha bisogno di avere un proprio tempo e luogo. Mi sono rilassata e ho iniziato a giocare come sapevo di essere in grado di fare. Questo ha davvero cambiato la mia vita e la mia prestazione calcistica.
Quello, e avere figli! Quando è nato il nostro primo figlio, il calcio ha perso valore. Non avevo più paura, perché in ogni caso, avevo amore nella mia vita e questo contava di più. E così giocare senza paura mi ha portato a nuove vette.
Elena Intra