Napoli, 70 anni fa già si giocava il campionato di calcio al femminile
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Il pareggio casalingo del Napoli Femminile contro il Ravenna Women ha lasciato l’amaro in bocca alle partenopee e la consapevolezza che il terzo posto in classifica nella Serie B possa essere ulteriormente migliorato, considerato anche che alla fine della stagione mancano ancora undici partite e che i punti di distanza da coloro che precedono sono solo uno (Cittadella) e quattro (Lazio).
Eppure, a prevalere a margine dell’ultimo match del campionato di calcio femminile non è la consapevolezza che niente sia perduto, ma la delusione e il rammarico di non avere sfruttato adeguatamente l’opportunità. Un pareggio che è dunque andato stretto a Paola Di Marino e compagne, desiderose di archiviare il mezzo passo falso e guardare avanti con decisione verso il prossimo match che le vedrà impegnate fuori casa contro la Ternana, che segue le napoletane a sole due distanze. Scopri i pronostici di oggi per essere sempre aggiornato sul campionato di calcio al femminile.
Giornata della Donna, un modo per ricordare le origini del calcio napoletano
Tra il match passato e l’impegno futuro c’è naturalmente stato il tempo per celebrare la Giornata internazionale della Donna e, con essa, ravvivare la necessità di ricordare dove abbia avuto origine il calcio femminile campano.
Sebbene infatti solo di recente il calcio femminile stia ottenendo l’attenzione mediatica che merita, non tutti sanno che di campionato di calcio rosa si parla almeno da 70 anni, ovvero da quando la baronessa Angela Attini di Torralbo ebbe l’idea di creare un vero e proprio campionato nazionale al femminile. Napoli fu eletta come centro fondamentale di questo ecosistema e, gradualmente, si aggiunsero tutte le grandi squadre del Centro e del Nord Italia. Non è dunque un caso che nel 1950 proprio dal capoluogo campano nacque l’Associazione Italiana Calcio Femminile: una lega con una storia particolarmente travagliata e che fu protagonista di un finale difficile da immaginare.
Certo è che lo sviluppo del calcio femminile non fu agevole per le sue progenitrici. La squadra napoletana fu, ad esempio, costretta per lungo tempo a giocare sul campo di Messina, uno dei pochi che era scampato ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Andò meglio ai colleghi uomini, che rimasero a Napoli ma furono comunque costretti a scendere a importanti compromessi, finendo con il giocare all’Orto Botanico.
Oltre a ciò, vi furono frequenti critiche di stampo conservatore: non a tutti piaceva, evidentemente, che le donne dovessero giocare a calcio senza un abbigliamento ufficiale, adattandosi volta per volta alle necessità. E così, alcune giocatrici scendevano in campo con la gonna (cosa non particolarmente gradita nel dopo guerra, poiché in epoca fascista era questo l’abbigliamento richiesto per diversi sport femminili), altre modificando gli indumenti maschili.
La fine dell’Associazione Italiana Calcio Femminile
Tornando all’Associazione Italiana Calcio Femminile, nonostante buone ambizioni e un fervente impegno, la sua vita fu piuttosto breve. Il 7 febbraio 1959 una gara tra Roma e Napoli femminile terminò infatti con un esito poco auspicabile: calciatrici, allenatori, tifosi e arbitri vennero coinvolti in una rissa che pose in discussione la sostenibilità – se così si può dire – dell’organizzazione di calcio femminile di allora.
La conseguenza fu la fine di quel primo esperimento collettivo calcistico e la nascita della lega che portò poi alla diffusione del calcio femminile moderno. Per toccare con mano la formazione di una vera e propria federazione ufficiale, si dovrà però attendere fino al 1986, con il primo campionato riconosciuto dalla Figc per i dilettanti. È invece del 1 luglio 2022 il tanto atteso riconoscimento alle donne calciatrici dello status di professioniste.