Un Mondiale conquistato in meno di un anno
- Giancarlo Padovan
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Non è impressionante - anche se è molto bello e utile - che l’Italia del calcio femminile approdi alla Coppa del Mondo 2019, vent’anni dopo la partecipazione a Usa 1999. E’ spaventosa l’assenza di memoria giornalistica e federale, non uno che ricordi chi, come Milena Bertolini oggi, fosse il c.t. di quella Nazionale (Sergio Vatta, un grande guru) e chi la guidò in America (Carlo Facchin, un onesto allenatore).
Nessuno che dica che, se questa volta sarà la Francia ad ospitare il Mondiale, allora fu Vatta ad eliminarla con un’impresa stratosferica in rapporto alla nostra povertà dei mezzi e al ritardo della mentalità. Era un’altra Italia calcistica frutto di un’altra Italia sociale. E se questa volta brillano Barbara Bonansea (un gol e una traversa) o Cristiana Girelli (idem) allora in campo andavano Giorgia Brenzan, un portiere di grande scuola, Antonella Carta, centrocampista di classe un po’ acuminata (rifiutò di entrare nell’ultima partita del girone) e Patrizia Panico, adesso allenatrice di una Nazionale giovanile di maschi e allora bomber implacabile (due gol in tre gare negli States).
Vent’anni fa non riuscimmo a superare il girone (un pareggio con la Germania, una sconfitta con il Brasile e una vittoria con il Messico). L’anno prossimo si vedrà, anche se la ragione invita a pianificazioni realistiche e non ipocritamente ottimistiche.
Nel tripudio di un’impresa che è autentica (la Nazionale della Bertolini ha vinto sette partite su sette, rendendo inutile l’ultima con il Belgio) va ricordato che qualificarsi venti anni fa era più difficile che adesso. Il Mondiale era a sedici squadre, ora ne accetta ventiquattro. Allora le europee furono sei, questa volta sono otto, compresa la Francia, Paese organizzatore.
Non è mia intenzone raffredare alcun entusiasmo, mi limito a dati oggettivi che, lontani dagli eccessi palesati in tv, dovranno fare da filo conduttore all’avventura francese. Se si vuole superare il primo turno (e poi chissà), bisogna ritenere questa qualificazione un fatto naturale, anche se dopo il pessimo Europeo, di scontato o prevedibile c’era pochissimo.
Il Portogallo, visto a Firenze, è la nazionale storicamente modesta che conoscevamo (sarebbe potuta finire in goleada). Il Belgio, che invece veniva da una rassegna continentale convincente, è tornato ai livelli di sempre. E’ un nostro sparring partner, poco di più.
Tutto questo, però, non è arrivato né per caso, né perché in tribuna adesso siedono Fabbricini e Costacurta. Il merito va, oltre a ragazze serie e capaci di andare oltre i propri limiti, a Milena Bertolini, ex giocatrice ruvida e agonisticamente ostica, raffinata allenatrice che ha vinto scudetti e coppe al Foroni, al Brescia e anche alla Reggiana (grande società, squadra normale).
Bertolini non è più brava di altri perché è una donna, ma perché studiosa, secchiona, appassionata, rigorosa, attenta, generosa.
La sua Italia è prima di tutto una squadra vera, 4-3-3 dalle linee molto strette, un pressing alto e continuo, la chiusura delle linee di passaggio quando manca il possesso di palla. Buon palleggio, ampiezza e profondità negli attacchi quando la palla c’è.
La Nazionale italiana di calcio femminile non è solo una squadra di donne, è una squadra versatile capace di attaccare e difendere in blocco, abilissima sui calci da fermo (contro il Portrogallo i gol di Girelli e Salvai sono discesi da calcio d’angolo), istruita a fare tutto bene, con forza (sì, forza), tecnica, profusione agonistica, velocità.
A parte Milena e le sue ragazze non ci sono altri meritevoli cui assegnare le medaglie. Il calcio femminile è, da sempre, un calcio gregario. Lo si scopre solo quando fa comodo (adesso tutti parlano di rilancio, ma il campionato è ancora povero e in Champions League il gap con le grandi squadre francesi e tedesche è incolmabile), lo si esalta come carta di riserva (i maschi non si sono qualificati al Mondiale di Russia), si vendono illusioni (il professionismo che le normative italiane negano come status a tutto lo sport femminile) anzichè progetti fondati.
Voglio dire con questo che questa qualificazione Mondiale è ancora il prodotto di anni di sottobosco e di sottoscala, in cui la Federazione non ha mosso un dito al pari della Lega Dilettanti, nessuno ha investito su niente e le società, gli allenatori e le ragazze hanno fatto tutto da soli.
La Bertolini, prima di staccarsi solitaria, procedeva a testa alta in mezzo a questo gruppo di idealisti della pedata.
Sapeva che saremmo potuti arrivare lontano. Ma un Mondiale conquistato in meno di un anno, forse non lo immaginava neppure lei.
Giancarlo Padovan