L'ultimo tuffo di Fatim Jawara ... è nel buio
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Perchè si deve morire in questo modo assurdo solo a 19 anni?
Si chiamava Fatim Jawara e aveva difeso la porta della nazionale del Gambia Under 17 ai mondiali di categoria in Azerbaijan del 2012. Dopo aver attraversato il deserto, ha atteso di imbarcarsi a Misurata. Il gommone è partito la notte del 27 ottobre. Il suo corpo era probabilmente tra i 97 cadaveri recuperati da una petroliera.
ROMA - La notte di giovedì 27 ottobre, una petroliera recupera in mare i corpi senza vita di 97 migranti e i 29 superstiti dell'ennesimo naufragio di un gommone partito dalla Libia con destinazione Lampedusa. Sono i numeri, sempre più freddi a ogni aggiornamento, della catastrofe umanitaria a noi tanto vicina. Una settimana dopo, dalle gelide cifre spunta la storia di un numero uno.
A darne la notizia è il suo agente, che aveva contribuito a finanziare il viaggio di Fatim attraverso il Sahara fino a Misurata, dove la ragazza aveva atteso il momento dell'imbarco. Fatim Jawara sognava una carriera nel calcio professionale e ben retribuito d'Europa. Dove sperava di sbarcare da perfetta sconosciuta. Era fiduciosa che il suo passato, in particolare il ruolo di titolare nella nazionale femminile under 17, avesse lasciato traccia sui taccuini degli osservatori. Credeva che i talent scout presenti ai Mondiali di categoria disputati nel 2012 in Azerbaijan, non si erano fermati allo score impietoso che aveva caratterizzato il breve cammino della sua rappresentativa alla manifestazione: tre partite disputate, tre sconfitte, 2 gol segnati e 27 subiti contro Corea del Nord, Stati Uniti e Francia.
In fondo, almeno per lei, portiera naturalmente desiderosa di mettersi in mostra agli occhi di chi di calcio sapeva, era stato il Mondiale perfetto. La tappa di avvicinamento a un calcio migliore e a un mondo migliore.
Quella successiva, durissima ma obbligata dalla sua prospettiva, era la Libia. Dove nessun talent scout attendeva Fatim, né un allenatore a cui obbedire. A Misurata gli ordini li danno i trafficanti di uomini. E non ci sono palloni da raccogliere, ma segnali da cogliere. La notte di giovedì 27 ottobre Fatim Jawara credeva ancora di poter governare il suo destino, come un pallone domato dalle sue mani guantate. Aveva trovato posto su un gommone e si accingeva a sostituire la realtà alla fantasia che aveva regnato nei suoi pensieri durante i lunghi giorni dell'attesa a Misurata. Cosa è accaduto quella notte, galleggia ormai solo nella mente dei superstiti. Partito col favore del meteo, il gommone si ritrova in mezzo alla tempesta scatenata da un repentino mutamento delle condizioni del mare e del cielo. Si ribalta. Il destino scivola via come un pallone inaspettatamente viscido, l'ultimo tuffo di Fatim è nel buio.
Il 30 ottobre, la nota dolente diffusa dal presidente della federazione calcio del Gambia, Lamin Kaba Bajo: "Ho ricevuto oggi la notizia. E' un vero shock. La ragazza aveva talento. Ricordiamo bene quando parò un rigore alle scozzesi del Glasgow durante un'amichevole della nostra nazionale. Fatim era sulla via che porta a pascoli ben più verdi. Ma il modo in cui è morta è semplicemente scioccante e pietoso. Noi della Gambian Football Federation ne siamo davvero rattristati e a nome della federazione esprimo le condoglianze alla famiglia e al club in cui Fatim giocava il nostro campionato, i Red Scorpions".
Fino al giorno in cui Fatim Jawara aveva deciso di mettersi in cammino per la Libia, a prendersi cura della calciatrice era stata Choro Mbenga, allenatrice dei Red Scorpions e selezionatrice aggiunta delle nazionali giovanili del Gambia. Che oggi la ricorda usando un aggettivo, "coraggiosa", che rende al meglio la storia di Fatim ben oltre i limiti gessati di un campo di calcio. "Era coraggiosa e coraggisamente sempre dalla parte delle sue compagne. Una portiera di grande qualità. Ci mancherà davvero".