Cartellino Rosso alla violenza
- roberta cappelluti
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E’ impossibile purtroppo pensare ad un mondo in cui non esista violenza. Ancor più difficile se la violenza da voler eliminare è quella verso le donne. Nella donna già per definizione sono statisticamente minori, rispetto al maschio, taglia, massa corporea totale e dei singoli organi nonché potenza muscolare. Nel mondo animale è oggettivamente un soggetto a rischio di dominio da parte del maschio.
Ma se fisicamente la donna è inferiore rispetto all’uomo, un uomo che aggredisce una donna fisicamente e/o moralmente ha una personalità di gran lunga inferiore rispetto la sua vittima.
Alfred Adler, psicoanalista austriaco, affermò che è il senso di inferiorità che dà origine agli sforzi per raggiungere la sicurezza psicologica che non può prescindere da un’autoaffermazione spesso rancorosa. E questi sforzi sono messi in atto distruggendo e deturpando ciò che viene considerato, spesso inconsciamente, migliore di sè. Equivale dunque a una manifestazione palese dell’invidia e a una difesa contro la sofferenza di sapere di non poter possedere tali qualità.
E’ un tema delicato, difficile da far comprendere a chi invece pensa di essere considerato forte e potente aggredendo. Ma chi aggredisce è il primo che non vuole essere aggredito, e questo perché? Perché si proiettano nell’altro, in questo caso nella donna, le proprie debolezze.
E spesso sono le donne le spietate protagoniste di una violenza declinata al femminile, fatta di rancori e rabbie ancestrali, ostracismi e feroci pettegolezzi, invidie e rivalità, amicizie spezzate o mai nate che, nonostante le lotte e le conquiste del femminismo, non solo ha consentito alla cultura maschilista dominante di rimanere radicata nella società, ma di fatto e questo è il problema grave, ha anche contribuito ad alimentare e legittimare questo dominio.
Nella mia attività di psicologa dello Sport che mi permette di essere a contatto anche con sportive come per esempio nel calcio femminile, aiuto a non mettere in atto questa violenza donna a donna sia in campo che negli spogliatoi.
Bisogna parlare ma soprattutto ascoltare sia le vittime che i “carnefici”. Il mio ruolo è quello di pormi a loro senza distanze, un punto di riferimento ogni qual volta le loro debolezze incomincino ad emergere. Non una dottoressa ma una confidente. Dare loro quell’appoggio che spesso in famiglia è mancato o manca.
Di frequente alla base di questi atteggiamenti c'è un rapporto conflittuale in famiglia, tra genitori e figlio, tra fratelli, o nel caso di donne tra madre e figlia o tra sorella e sorella.
Il principio da fare proprio è “Sono un essere umano come te e come tale ti ammiro, ti rispetto e ti sostengo”. Un cammino lungo e spesso difficile ma con pazienza porta a riconoscere e rispettare in primis se stessi per poi conseguentemente rispettare l’altro.
Dott.ssa Roberta Cappelluti
Psicologa Clinica e dello Sport, Calciodonne.it
+39.349.0095906
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